Prime Esperienze
Quella volta dal fotografo


23.05.2025 |
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"Ero truccata poco, giusto un filo di matita a esaltare i miei occhi scuri..."
A volte mi sorprendo a sorridere da sola, magari con un bicchiere di rosso in mano dopo cena, mentre il mondo fuori si addormenta. Mi basta un piccolo stimolo – una luce particolare, una nota jazz, una camicia lasciata aperta sul divano – e torno lì, in quello studio, a rivivere ogni dettaglio di quel pomeriggio.Il pomeriggio in cui tutto è cambiato.
Dovevo solo incontrare il fotografo del nostro matrimonio. Marco era stato chiamato a Milano per una riunione, e mi aveva detto: «Vai tu, amore, tanto è solo un incontro. Lo scegliamo insieme dopo».
E invece, eccomi lì. Da sola. In piedi davanti a una porta in legno chiaro con una targa incisa: Luca – fotografia d’autore.
Ero vestita con cura, come faccio sempre quando so che avrò gli occhi di qualcuno addosso. Jeans a vita alta che disegnavano i miei fianchi con precisione, un top in seta nera aderente ma sobrio, e sopra una giacca leggera color sabbia. Ai piedi, stivaletti in pelle beige col tacco sottile: discreti ma decisi.
Ero truccata poco, giusto un filo di matita a esaltare i miei occhi scuri. I capelli – biondi, lunghi fino a metà schiena – erano raccolti in un nodo morbido, lasciando sfuggire qualche ciocca sulle tempie.
Ho sempre curato il mio corpo. Anni di allenamenti in palestra, una passione per la corsa e il pilates, e quel piacere quasi erotico nel sentirmi tonica, viva, femminile. Non sono esile. Sono… forte. Spalle dritte, gambe definite, un seno pieno ma non invadente – una terza perfetta per le mie proporzioni. E Luca se ne accorse subito.
Appena entrai, il suo sguardo fece un giro lento, gentile, ma assolutamente presente. Era alto, braccia forti, barba corta, occhi che non ammiccavano ma avvolgevano. Parlava poco, ma ascoltava con una profondità che mi mise subito in uno stato di leggera ebbrezza.
Sfogliammo i suoi lavori. Mi parlò di luce, di emozione, di catturare l’attimo più che l’apparenza. Io ridevo, annuivo… e sentivo le mie difese abbassarsi. Quando dissi, quasi ridendo, che non mi piaceva farmi fotografare, lui mi guardò dritto negli occhi e disse:
«Se vuoi, possiamo fare qualche scatto adesso. Solo per provare. Vedrai che cambia tutto, quando c’è qualcuno che ti guarda nel modo giusto.»
E fu così che, senza capire bene come, mi ritrovai davanti a quel fondale grigio chiaro, con una luce calda che mi accarezzava il viso. All’inizio ero rigida. Ma poi…
Mi disse: «Abbassa la giacca».
Lo feci.
Il top lasciava intravedere le linee delle spalle, il tratto teso dei pettorali sotto la stoffa. I miei capezzoli si indurirono sotto il tessuto, e sapevo che lui l’aveva notato, anche se non disse nulla. Solo la macchina che scattava, e il suo sguardo che non si muoveva mai dal mio corpo.
Poi: «Slacciala un po’. Così. Sì, fermati lì. Guarda giù. Ora chiudi gli occhi.»
Mi sembrava di danzare. Ogni suo comando era una carezza invisibile. E io mi lasciavo toccare da quella voce, da quello sguardo, da quel desiderio che cresceva dentro me come un fuoco lento.
Non ci fu bisogno di nient’altro. Nessun contatto fisico. Nessuna parola sgarbata. Solo l’energia, la tensione, e quella sottile umidità che mi colava giù tra le cosce, rendendomi consapevole di quanto fossi eccitata. Senza nemmeno essere sfiorata.
Quando tutto finì, mi rivestii piano. Il cuore martellava. La gola secca. Presi la borsa, lasciai sul tavolo una delle stampe che aveva appena fatto – una mia foto, occhi chiusi e bocca appena aperta – e me ne andai.
Non mi voltai. Ma mentre camminavo verso la macchina, con le gambe ancora molli e la pelle che sembrava ancora sotto l’obiettivo, sapevo che era solo l’inizio.
Sì…
Tornerò da lui.
E la prossima volta, non sarà per parlare del matrimonio.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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